«Possiedo un pezzo di terreno. È abbastanza piccolo. Sarà largo un metro e lungo otto. Ha la moquette, solitamente di un rosso scuro o di un blu tetro… Non l’ho comprato. Non mi è stato regalato… È mio perché me lo sono preso…. Ho lottato per tenermi questo spazio e la mia tenacia ha tenuto alla larga tutti i pretendenti di questo luogo minuscolo, di quest’isola tra le poltrone… Il mio regno si trova dietro le quinte, dove cammino avanti e indietro durante le prime».
Inizia così “Questa volta è la mia storia”, l’autobiografia di Neil Simon detto “Doc”, il re della battuta, il più grande commediografo vivente americano, vincitore del Pulizer nel 1991.
Come descrive lui stesso nell’introduzione, il libro parla dei 150mila chilometri e più che ha percorso tormentandosi, sorridendo, corrucciandosi, imprecando, saltando di gioia.
Nelle interviste, l’autore dichiara di aver scritto questa prima autobiografia per sé, e non per il pubblico, per ripercorrere quei primi passi e capire com’era quando scriveva certe Commedie. Ma con Simon narratore, anche noi lettori riviviamo le fasi formative, le più emozionanti e insieme terrificanti degli inizi, “facciamo la gavetta”: le porte sbattute in faccia, le occasioni perse, il terrore delle critiche, le riscritture forsennate e radicali, le smanie degli attori dell’ultimo minuto.
Pagina dopo pagina, impariamo come fosse un manuale di un corso full immersion, qualcosa in più sullo scrivere una Commedia da cui possiamo estrapolare un breviario per apprendisti commediografi:
– come scegliere un inizio (pag. 149)
«… ogni testo teatrale deve parlare di un evento. Come per esempio la prima volta che è successo qualcosa… l’evento non deve essere importante per il pubblico ma per la vita dei personaggi».
– come far crescere i personaggi (pag. 149)
«Ho sempre cercato di piazzare delle trappole per i miei personaggi, qualcosa per cui non sono pronti, qualcosa che interferirà con i loro piani: ostacoli, barriere, conflitti che non solo renderanno più difficili le loro vite, ma daranno a me la possibilità di metterli in situazioni divertenti».
– dove trovare la motivazione per scrivere una commedia (pag. 182)
«Scrivere in una commedia o su questa pagina non allevia il dolore, ma ti permette di guardarlo da una certa distanza, oggettivamente anziché soggettivamente, e inizi a vedere una verità comune che ci collega tutti quanti».
– come trovare la motivazione per riscrivere le parti che non funzionano (pag. 184)
«Non puoi ma dire a te stesso “Credo che qui ci sia un problema, ma magari mi sbaglio. Magari al pubblico piacerà”. Non andrà così. È già difficile che al pubblico piaccia qualcosa che a te sembra fantastico, per cui quali possibilità vuoi avere se provi a propinargli qualcosa su cui tu per primo hai dei dubbi?».
– come trasformare la drammaturgia in una vocazione (pag. 484)
«Spero che le mie commedie diventino un documento dei tempi che abbiamo vissuto, almeno dal mio punto di vista».
A spingerlo a scrivere per Broadway è, dunque, l’interesse divorante per il comportamento umano e le relazioni familiari, soprattutto le sue ma soprattutto lo scongiurare il trasferimento in California presso la nascente industria televisiva cui erano destinati negli anni Cinquanta gli autori brillanti della East Cost,
Per chiarire il suo punto di vista conia anche una battuta che fa epoca: «Quando a New York d’inverno ci sono 8 gradi, a Los Angeles ce ne sono 25. E quando a New York d’estate ci sono 38 gradi a Los Angeles ce ne sono 25. Però a New York ci sono 4 milioni di persone interessanti e a Los Angeles soltanto 25».
«Non ho mai cercato di essere divertente a tutti i costi: se mi viene una battuta la dico, niente di più. A teatro non uso lo humour per far ridere ma per far sì che gli spettatori si riconoscano sul palcoscenico e vedano meglio in se stessi».
Condensato in 555 pagine, Doc racconta un periodo piuttosto breve: dal 1957 l’anno in cui infila nella macchina da scrivere un foglio bianco per scrivere il titolo della sua prima commedia ‘Senza una scarpa’, subito cassato per diventare poi “Come Blow Your Horn” (1961, Alle donne ci penso io) al 1973 l’anno in cui muore di cancro la sua adorata prima moglie Joan.
Quei turbolenti sedici anni furono i più fecondi per lo scrittore, umanamente (un grande amore, due figlie, gli anni Sessanta e, ovviamente, la psicoanalisi cui ricorre, all’apice della fama) e professionalmente (la scrittura e le riscritture di successi intramontabili come A piedi nudi nel parco, La strana coppia, Appartamento al Plaza e la stretta collaborazione con i grandi Bob Fosse e Mike Nichols).
Ma in queste pagine c’è soprattutto il sogno americano di un uomo minuto ebreo del Bronx che, grazie alla sua perseveranza e meticolosità, ancora oggi è realtà.
Per approfondire
‘Neil Simon’ su Enciclopedia del Cinema
‘Questa volta storia’ di Neil Simon su Amazon
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Elisa Abbadessa