
La scenografia praticabile offre la configurazione dei celebri spazi ritmici teorizzati e realizzati da Appia: i due attori si arrampicano, salgono, scendono, costantemente indaffarati in una serie di azioni fisiche che rendono lo spettacolo vivo e organico. (Fonte: “Il tempo delle mele… cotte” di Cecilia Carponi, Pensieridicartapesta.it )
La scena, di Katia Titolo, è geniale, un intreccio di ponteggi a simulare l’interno di un edificio crollato con i due attori “costretti” a interpretare in un continuo saliscendi alla ricerca di una via d’uscita. Proprio come le loro esistenze, intrappolate dalle macerie e dal peccato consumato. Una verticalità che mette paura, con i protagonisti che arrivano a quattro metri e più di altezza, un impegno fisico notevole e anche pericoloso. I movimenti scenici continui e accurati, ben restituiscono al pubblico, con suggestioni quasi pittoriche, sensazioni claustrofobiche, riportando i due in scena sempre al punto di partenza… (Fonte: “Il tempo delle mele… cotte” di Paolo Leone, Corriere dello spettacolo)
I.-Raccontaci un po’ di te, per quante e quali commedie hai già progettato le scene, quali sono state le tue preferite, quali gli ultimi lavori.
K.T.-Sono Katia Titolo e sono “Miss in gambissima”!
Tenterò di riassumere qualcosa: ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Breslavia (PL), perché apprezzo la severità sovietica.
Ho studiato Pittura con specializzazione in Restauro Pittorico, per le stesse ragioni e perché ho ritenuto che la quantità di Chimica presente in certe discipline mi avrebbe consentito, qualora avessi cambiato idea, di poter cercare lavoro in una farmacia! Solo ora mi pare chiaro che questo non sia possibile.
Per compensare la scelta della severa disciplina sovietica, tornata in Italia, mi sono trasferita a Bologna: DAMS indirizzo Arte, ancora una volta non scenografia.
I.-Scenografa teatrale, per scelta o per caso?
K.T.-Come dicevo, Scenografia teatrale per scelta, ma a casaccio, nel senso che, deluse e disattese le mie velleità artistiche e rifiutata la mia candidatura in ogni farmacia del pianeta, una volta accettata definitivamente la realtà dei fatti per cui non posso permettermi di vivere di aste di quadri, ho dovuto riversare le mie ambizioni in quello che più si avvicina alla forma d’arte applicata a me più congeniale, dunque la Scenografia.
Teatrale per scelta, poiché ho deciso di evocare piuttosto che riprodurre e questo è un gioco a cui il teatro si presta in modo eccellente, quando consentito.
I.-Secondo il tuo particolare punto di vista, la commedia è ancora oggi un genere teatrale a sé: esistono, ancora oggi, distinzioni tra i generi drammaturgici?
K.T.-Questa è una domanda complessa, tanto più che, avendo subìto, nel senso letterale del termine, una formazione prettamente classica, mi risulta piuttosto difficile evitare di catalogare le mie nozioni,
Dunque sì, credo che la commedia sia tuttora un genere teatrale a sé, ma alcune commedie lo sono meno, come ad esempio “Il tempo delle mele cotte” e “La spallata” entrambe scritte da Gianni Clementi e dirette da Vanessa Gasbarri, per cui ho avuto il piacere di lavorare.
Queste che ho citato, sono un “un po’ meno” commedie, non perché non facciano ridere o non siano divertenti, ma perché rappresentano una umanità storicamente collocabile, investita di atteggiamenti, pensieri, drammi universali o universalmente riconoscibili, qualcosa insomma che si avvicina più al “Neorealismo”.
Mentre nella commedia classica o classicamente intesa i personaggi in genere si vestono di clichè e il lieto fine sancisce la conclusione inderogabile della rappresentazione.
Per inciso, io non ho nulla in contrario, ma non amo particolarmente questa seconda categoria, nonostante mi sia capitato di lavorarci già in precedenza, avendo collaborato per qualche tempo, fra gli altri, con la compagnia “La Plautina” di Roma, che mette in scena apprezzabilissime commedie e che saluto caramente.

I.-Hai un approccio progettuale diverso nei confronti di una commedia o di uno spettacolo di altro genere?
K.T.-Sicuramente sì. La commedia è il genere teatrale rispetto al quale è meno consentito astrarre, se non a causa di tagli al budget; in questo caso dall’iperrealismo noto di certo teatro che necessita di elementi riconoscibili per poter funzionare, vedi pacchi, tazze, bicchieri, l’immancabile trillo del telefono vintage e attrezzeria in generale, si può assistere a inspiegabili virate su uno stile minimale, scelta non sempre dettata dal gusto.
I.-Credi che la scena abbia lo stesso peso in una commedia rispetto a uno spettacolo di altro genere?
K.T.-La scena ha più peso in una commedia piuttosto che in uno spettacolo di altro genere, perché la commedia è quasi sempre collocata in un tempo e ancor più uno spazio definiti, a volte esplicitati, ma sicuramente è il genere drammaturgico che più si distanzia dall’asserzione di concetti meramente astratti.
La commedia va collocata, necessariamente, e per far ciò ha bisogno del suo vestito, quindi di una scenografia adeguata, e di un sarto, questo giustifica la mia presenza!
A volte si presenta nuda, ma superata una certa età non è elegante, non si fa…
I.-Di solito per le commedie vengono allestite scenografie “didascaliche”, pensi che una scena più “concettuale” possa funzionare comunque per il genere comico?
K.T.-Credo di non poter generalizzare. In alcuni casi, come in quelli sopra citati, direi di poter riconfermare una scelta stilistica più concettuale, che fra le altre cose è quella a me più congeniale e di sicuro la più divertente da progettare e allestire, ci sono però dei casi in cui è necessario descrivere in forma tridimensionale e riconoscibile quello che viene narrato.

I.-L’aspetto concettuale delle scene ne “Il tempo delle mele… cotte” rilevato dalla critica, era nelle tue intenzioni oppure sono state le scelte registiche a evidenziarne il sottotesto simbolico nascosto tra i tubi innocenti?
K.T.-Chiaramente è una scena concettuale, lo era nelle intenzioni sia della regista, sia mie. E di questa possibilità ringrazio molto Vanessa Gasbarri per la fiducia che mi ha accordato, mi auguro ben riposta, e per la disponibilità dimostrata a valutare, agire, dare senso a una scelta estetica un po’ meno classica del solito; per chi non lo sapesse, questo è un atteggiamento molto raro attualmente in Italia.
I.-Quali sono le tue fonti di ispirazione? Ti ispiri a qualcuno in particolare?
K.T.-Non credo di ispirarmi a qualcuno, sicuramente sono condizionata da artisti che ammiro più di altri: Appia, Kounellis per la scenografia, Kosuth per il concettualismo, Duchamp per l’ironia e per quello che ha rappresentato nella storia dell’arte, e molti altri fra cui mio padre, che non si occupa di niente del genere ma sono sicura che apprezzerà la citazione: lui si diverte a creare sculture commestibili, quelle a tema sacro le trovo molto ironiche, ma non credo sia nelle sue intenzioni!
I-Come avviene il processo creativo? Solitamente, presenti tu per primo i bozzetti al regista oppure ti lasci influenzare dalla sua idea prima di metterti a disegnare?
K.T.-In genere leggo il copione ed elaboro quello che mi piacerebbe fare. Puntualmente le mie proposte vengono bocciate, allora rielaboro modificando un po’ le mie proposte, incrocio le dita e le presento al regista, complete di una seconda opzione che mi piacerebbe fare, poi considero se desistere da quello che mi piacerebbe fare. Sto imparando ad aspettare e cominciare a elaborare dopo aver consultato il regista su quello che a lui piacerebbe avere. A volte faccio quello che mi piacerebbe fare, quando è un piacere condiviso e incentivato, come nei casi citati.

I-Quanto ha influito la crisi economica del settore sul tuo lavoro? Come e dove hai trovato soluzione alternative alle riduzioni di budget delle produzioni teatrali (ad esempio, fai più spesso acquisti nei mercatini dell’usato, all’Ikea, chiedi in prestito mobili ed oggetti ad amici e parenti, ecc…)?
K.T.-Colgo l’occasione per dichiarare che presto potrei morire di stenti o perseverare nella condizione di grave indigenza in cui verso allo stato attuale. La crisi che ha investito il settore culturale in Italia ha sommerso del tutto alcune categorie di professionisti, fra questi, i più penalizzati, gli scenografi. Attualmente bazzico per mercati, ma questo si è sempre fatto, bazzico per svuotacantine, che pure è un approccio molto apprezzato, bazzico per ditte di traslochi e trasporti, e questo è un metodo piuttosto originale, se mi vedeste a bazzicare per cassonetti chiarisco sin da subito: sto lavorando.
Per quel che riguarda l’IKEA, credo che sia una condanna, una sciabola lanciata dal quinto piano dritta nella mia schiena: sta divenendo necessario costituire un sindacato di scenotecnici, scenografi, costruttori, falegnami e sette nani, ora più che mai, per combattere e debellare questo morbo. Mi auguro che non si mettano a produrre pannelli alti almeno 4 mt, smontabili, al costo inspiegabile di 6 €, perché sarebbe davvero la fine per molti di noi.
I-La commedia ha ancora la capacità di raccontare il presente?
K.T.-La commedia ha tutte le capacità della letteratura in generale, che è in assoluto “la disciplina” con il più alto potenziale produttivo e innovativo, giacché bisogna solo pensarla.
Mi chiedo se queste capacità interessino anche i commediografi: forse questo potrebbe essere il problema.
Auspico che venga riconosciuta al genere la dignità che merita testimoniata da testi validi, non necessariamente leggeri o banali.
Quella “divina” l’abbiamo studiata tutti, ed è una commedia… così per esasperare i toni.
I-Come vedi il tuo futuro in teatro? Continuerai sempre a progettare scenografie per commedie?
Non mi sento in grado di fare pronostici, ma posso profetizzare che sarà scuro, molto: è un periodo obiettivamente difficile, per questo dichiaro apertamente che continuerò a progettare qualunque cosa per qualunque genere, per chiunque, cucine IKEA e farmacie incluse perché, contrariamente a quanto spesso si senta dire in giro, il teatro è sì una passione, ma a meno che a dirlo non sia un non addetto ai lavori, cioè uno spettatore che plausibilmente si occupa d’altro, è innanzi tutto un mestiere e come tale andrebbe esercitato e retribuito.
Per concludere vorrei ringraziare i tecnici e quanti hanno partecipato all’allestimento dello spettacolo “Il tempo delle mele… cotte”, che ha ricevuto tanti apprezzamenti dal pubblico e dalla critica, perché in assenza di anche solo una delle maestranze necessarie in questo lavoro, molti risultati non sarebbero possibili.
Quindi grazie a Danilo Gasbarri che mi ha prestato il suo tempo, la sua esperienza e anche un po’ di muscoli, a Simone e Lorenzo Zapelloni, primo e secondo macchinista, senza le cui competenze non avremmo allestito il progetto, avremmo dovuto dotare il pubblico di sassi da lanciare opportunamente al segnale convenuto e i vestiti sarebbero ancora penzolanti su una palanca; Giorgia Trasselli e Antonio Conte che pure ringrazio caramente per la disponibilità a recitare facendo parcour; ringrazio Beppe Filipponio e Fabrizio Mazzonetto per aver illuminato la chiesa restituendomela come non avrei saputo immaginare e ovviamente, ringrazio Gianni Clementi e Vanessa Gasbarri per i motivi di cui sopra. Grazie anche a Cristiano Milasi Responsabile tecnico del Teatro de’ Servi di Roma per la disponibilità.
Ora sì che siamo pronti per un’altra avventura: la prossima settimana si parte tutti alla volta del Teatro Martinitt di Milano, per il nuovo allestimento!
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Elisa Abbadessa